Pinacoteca Accademia dei Concordi
Ritratto di giovane
Tiziano Vecellio ( Pieve di Cadore ,1480/1485- Venezia, 1576)
Olio su tavola, 18 x 15 cm
Rif. FA.LU.T0558
Il dipinto è con tutta probabilità da identificare col «ritratto d’uomo in mezzo busto… di Giorgione da Castelfranco» visto dal Bartoli (1793) in casa Muttoni a Rovigo.
Forse a causa del suo pessimo stato di conservazione questo ritrattino è meno noto di quanto meriti fra gli specialisti di cose giorgionesche, sebbene vanti dalla sua una tradizione critica di tutto rispetto: Crowe e Cavalcaselle, infatti, lo ritenevano un Giorgione rovinato, mentre il Berenson, dopo averlo deviato (1932 e 1936) fra le opere di Palma il Vecchio, lo riportò (1958) nell’ambito degli immediati seguaci di Giorgione.
Nel riordino della Pinacoteca del 1971, e pur senza averne fatto cenno nel suo breve catalogo del 1962, il Valcanover lo ha intelligentemente esposto come opera di Tiziano giovane.
Molti indizi conducono infatti a tale soluzione: da quelli esterni della foggia dell’abito, in uso fra primo e secondo decennio del Cinquecento (ciò che parrebbe escludere, per motivi cronologici, il nome di un giorgionesco della seconda ora), ai dati più precisamente stilistici, come la straordinaria spuma bianca delle pieghe della camicia, da ritrovarsi, ad esempio, nella parte tizianesca del Triplo ritratto di Detroit, compiuto a tre mani fra Giorgione, Tiziano e Sebastiano, e databile dunque entro il 1510, o nella Natività del North Carolina Museum of Art di Raleigh (Kress Coll.).
Nel calibrato rapporto di toni fra le masse colorate, nell’emergere del punto di luce del sottile
anellino, la stesura dell’opera si avvicina in maniera assai stretta ai due cassoni mitologici del Museo civico di Padova; per non dire di quella mano stampata quasi senza volume sul nero del vestito, con quel sollevarsi interrogativo del pollice, un vezzo che piacerà molto al Romanino «tizianesco» della pala di Santa Giustina, nel 1513.
Persino la psicologia del personaggio, fra timida e impudente, rimanda ad indimenticabili caratterizzazioni del giovane Tiziano, come il cosiddetto Ariosto di Londra, o il Ritratto Grimani del Metropolitan di New York.
Nondimeno, nella schieratura del materiale veneto di quegli anni, non è facile raggiungere la
sicurezza dell’attribuzione al Vecellio; l’affinità è più di spirito che di, forme, ad esempio, col S. Antonio della tela del Prado di Madrid, o con il San Damiano della paletta della Salute, e solo col Ritratto femminile del Norton Simon Museum of Art di Los Angeles il legame formale appare sufficientemente convincente.
II punto interrogativo con cui si accompagna il nome di Tiziano rende conto, dunque, più della difficoltà di reperire prove affidabili sull’appartenenza al corpus del pittore, che di un difetto di interno convincimento: poiché a noi sembra che, se tutto parla ancora del mondo giorgionesco, persino nella scelta del supporto assai piccolo, di misure non lontane da quelle del Ritratto Terris di San Diego, lo scatto, la diversione da quel naturalismo panico, è già avvenuta nell’accento sognante, liricizzato, della posa, nella sua confidenziale proiezione verso un mondo sereno e senza tempo. In forme non dissimili doveva figurare, sulle pareti del Fondaco dei Tedeschi, il «Compagno della Calza», secondo quanto si può intendere dell’incisione di Anton Maria Zanetti.
È nostra convinzione, insomma, che il ritrattino di Rovigo debba trovare posto nelle caselle iniziali del percorso di Tiziano, probabilmente entro il 1510; e ciò sia detto al di là di tutte le cautele e le limitazioni che lo stato quasi disastroso della pittura necessariamente impone.